— Sei mesi prima della nascita dei Pochi Dei, Tetrono arringa il Concilio di Viceste
“Secoli interi sono trascorsi da quando i nervosi Akralliti partorirono la prima generazione di filosofi tanto curiosi da sondare le fondamenta del mondo. Furono essi coloro che inquietarono i Molti Dei. Gli Dei, lo sapete bene, sono usualmente silenziosi e indifferenti, e riesco a malapena a immaginare a quali oltraggi siano stati sottoposti fino a indignarsi! Lo scontro si è quietato solo dopo molti anni e molti tormenti, miei concittadini, e Statuti, Alleanze e Franchigie sancite e protette dalla tradizione hanno fatto sì che nessuno più si abbandonasse ad atti di oscena villania nei confronti dei veri padroni del mondo, che noi sempre onoriamo. Nessuno qui agita le dita col segno della latrina nei templi, né incita le proprie figlie a porgere le terga denudate agli idoli. E nessun Dio fa ingoiare a una Tarasca un intero contado né vomita una piaga di lucertole bavose sui nostri giacigli. Fino adesso, cioè, il nostro è stato un tempo civile in cui la filosofia era impensabile e gli Dei facevano il loro. Secondo i sacerdoti, Quelli di Lì Sopra ascoltano le preghiere e aiutano i fedeli con puntualità, come da trattato.
Però adesso dobbiamo davvero guardarci negli occhi. Oggi il mondo ha finito lo stagno. Niente più bronzo per nessuno, e senza bronzo tutto è diventato piccolo, persino le guerre e il commercio. Viceste si stende ai vostri piedi, terra dove siamo nati, dove il sole splende sulle rocce bianche e sul mare color del ferro, il metallo molle e rugginoso che c’è rimasto. La nostra Viceste è una città fatta di mercanti e bottegai. È una bella terra, la nostra, seccata dal sole per qualche breve settimana d’estate, e lo ammetto, forse fredda per i venti di ghiaccio durante l’inverno, ma olivi e viti sopravvivono. Se non c’è più stagno e se l’ultimo Imperatore è stato suicidato, non è colpa nostra. Noi vogliamo continuare a essere ricchi, e farlo alla faccia del Duca barbaro nella sua palude, che ci impone di accogliere strane persone in città, genti che noi tutti odiamo.
Concittadini, la Bona Dea non vuole ascoltarci, e sia sempre lodato il suo nome, per carità. Il suo aiuto sarebbe stato vitale già vent’anni fa e ora è francamente un po’ in ritardo. Perché non spendere una modesta pila di monete per condurre qui dei Magi? La loro terra è in rovina, e quelli lì ne sanno di come si fa un Dio nuovo fiammante… Come dici, figlio mio? Sì, Prestonio, lo so che hai solo dodici anni meno di me, ma io ero un fanciullo vivace. Sì, t’ascolto. Tu dici qui davanti a tutti che loro terra NON è in rovina per la carenza di stagno, ma è sparita ingoiata dalla Magia? Sciocchezze, queste sono fole post-apocalittiche. Tutto riguarda la ricchezza, e come la si usa per moltiplicarla e portare ottimo frutto. Fidati di noi anziani, anche perché sei costretto: i padri sanno sempre quello che è meglio per la città.”
— Quattro giorni dopo la nascita dei Pochi Dei, Prestonio arringa il Concilio di Viceste (in esilio nelle cantine di Sentalia)
“VE L’AVEVO DETTO! BRUTTE TESTE DI CAZZO! VE L’AVEVO DETT—” [le minute del Concilio sono veppiù frammentarie]
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