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Recensione del ciclo di Inda di Sherwood Smith: "Inda", “The Fox”, “King’s Shield” e “Treason’s shore” (in italiano)

Ho letto il ciclo di Inda in qualche mese, finendolo l’anno scorso dopo alcune lunghe pause. A seguito della mia recensione del primo volume, mi trovo piuttosto in imbarazzo a cercare di sezionare la narrazione dei successivi. Sherwood Smith non ha avuto alcun vero riguardo per la convenzione di circoscrivere degli archi narrativi all’interno dei singoli libri. Quindi scriverò questo post come un unico blocco: non riesco a suddividere abbastanza la storia per fare singole “recensioni”, soprattutto perché non intendo fare spoiler.


Quello che segue si riferisce a una quadrilogia di titoli:
  • “Inda”
  • “The Fox”
  • “King’s Shield”
  • “Treason’s shore”
La storia inizia con una scena particolare: la Smith ha un qualcosa di sinestetico, si riesce a percepire nettamente come la sua struttura narrativa venga generata per accrezione come le galassie, a partire da scene molto vivide. Un bambino e una bambina si preparano a un addestramento per la guerra: i maschi attaccheranno una fortezza, le femmine la difenderanno. Nel paese dei Marlovan è così da tempo immemorabile. Il popolo di guerrieri, discendente alla lontana dagli scandinavi del nostro pianeta, ha suddiviso i due sessi di casta elevata con una funzione difensiva femminile e di cavalleria d’assalto per gli uomini. Usanze dure, codificate, irreggimentano i ragazzini cementando ruoli, addestramenti, gerarchie di violenza nelle fratrie, matrimoni, e regimi affidatari di matrice squisitamente politica che ricordano lo scambio degli ostaggi. Inda è il bambino che compare in questo prologo: conosce già la propria vita, chi sposerà, dove andrà. Tdor è la ragazzina, e sa già che un giorno, quando non saranno più cuccioli, sposerà Inda. L’intero ciclo è dedicato a Inda, ma la verità è che la narrazione appartiene in vasta parte a decine di altri co-protagonisti, in una narrazione in terza persona onniscente che cavalca decenni.

La particolare costruzione degli usi familiari delle famiglie dei Marlovan sono, assieme alla magia, il motore principale dei conflitti di punti nodali della trama. Il modo in cui gli affetti sono contorti da una socialità fittamente regolamentata scagliano le persone incapaci di uniformarsi — come il nostro Inda — in direzioni casuali, trasformandoli loro malgrado in bolidi roventi e velocissimi. Con il passare dei libri Inda, che non è un individuo neurotipico, viene sottratto a tutto quello che doveva essere, e restituito come un uomo che non avrebbe mai voluto diventare. Come una meteora si lascia un cratere alle spalle, e i casi della vita lo indurranno a stringere tanto amicizie quanto rapporti infausti con persone che vengono da decine di culture. Inda si troverà a guardare il proprio regno di guerrieri con occhi differenti. Durante lo scorrere della sua vita vedremo i bambini crescere e diventare giovani adulti, e poi persone di mezza età. Vedremo nuovi ragazzini che fluiscono a colmarne il vuoto, e prendono direzioni differenti. E come Inda vede il proprio mondo da fuori, così noi vedremo Inda con gli occhi di dozzine di altri, e non è sempre un ritratto onesto, né il protagonista — per propria responsabilità innegabile — ci fa una bella figura.

La quadrilogia di Inda è un incrociarsi di sguardi, quindi, un intero mondo fantasy che si squassa in modo convulso mentre le entità politiche proiettano la propria forza e realizzano di essere in guerra. Inda sarà il punto di rottura, ma è una questione a cui si arriva con molta calma, dopo mille conflitti e molta crescita, e attraverso dei cambiamenti di sfondo e tematica che fanno spalancare gli occhi. Che tutto inizi con dei bambini è interessante, e molto ambizioso, ma da un certo punto di vista è ancora più ambizioso il finale della narrazione: seguiamo decine di persone che impariamo ad amare e detestare, che perdiamo e ritroviamo, fino al giorno in cui se ne vanno per sempre, la loro vita finita. La narrazione stessa a quel punto li ha sostituiti senza pietà, disintegrati. Restano le ripercussioni dei loro atti, i loro figli e i loro nipoti. Inda in quattro libri è venuto e andato, ma l’umanità continua.

Ho citato i cambiamenti di sfondo e setting, e sono effettivamente spiazzanti. Inda sembra così sicuro di se stesso mentre muove i propri passi di undicenne, ma da quando la vita è più gentile coi bambini? Il suo destino cambia a scossoni. Da piccolo cadetto della sua accademia di ufficiale a cavallo, una sorta di Ender’s Game longobardo, Inda viene catapultato oltre i confini del mare, troppo lontano per essere discernibile persino a un O’Brian. Ancora bambino, il protagonista viene distrutto e riformato dalle trame di persone molto più grandi e decisamente poco sagge: non sarà la prima volta che si troverà a ricoprire il ruolo di segnapunti politico, ma di sicuro sarà quella in cui ha meno possibilità di reagire. Questo è uno spoiler che mi sento di dover fare: Inda finisce a navigare in mare, che non a caso è l’ambiente più lontano possibile dalla sua casa. Il setting marittimo della Smith è molto ben fatto. Si tratta di un “facciamo che” nautico molto interessante, e sicuramente originale. Troppe volte ho letto nell’ambito della narrativa fantastica di manovre insensate che ricalcano quelle della marineria napoleonica in setting in cui i cannoni non sono stati inventati. Qui non ci sono armi da fuoco (lo devo dire perché esiste una casta di lettori buffamente ossessionata da tale elemento nel fantasy), ma l’immaginario dell’autrice fornisce £deviazioni” dall’usuale molto interessanti. Personalmente apprezzo molto questo tipo di speculazione tecnologica. Il mare quindi sarà un elemento vitale della quadrilogia, ma il suo contrario, il regno dei Marlovan, ha la propria gravità su Inda. Le sue praterie lo continueranno a chiamare nei sogni e nei sentimenti. Ci saranno delle orrende battaglie da combattere anche a casa.

Torniamo ancora un attimo al worldbuilding. Il mondo di Sherwood Smith è costruito in maniera interessante. Potremmo definirlo a tutti gli effetti un mondo high fantasy, perché la magia influenza la vita di tutti i giorni. Però esiste solo per i “servizi”, ecco. Non servono i bagni, perché la magia pulisce le persone ed elimina le deiezioni. Le luci vengono caricate con gli incantesimi ogni tot anni. I maghi sanno teletrasportarsi. Un’intera cultura usa un sistema simile a un GPS magico per navigare, ottenendo grandi benefici tattici. Palle di fuoco e raggi della morte sono invece stranamente assenti. Il motivo è interessante, perché questo mondo non è nativo per gli esseri umani che vi abitano. Sono stati accolti da una cultura di alieni non umani che si sono rivelati contemporaneamente sofisticati, pacifici, accoglienti e disgustati dalla fisicità umana e dalla nostra aggressività. Nei millenni sono stati stretti dei patti umani-alieni, e i risultati sociali sono profondi e molto interessanti, come anche la costante lotta di una parte di esseri umani per contravvenire ai limiti convenuti con gli alieni.

La quadrilogia di Inda non è sempre facile, non è sempre vivace, non è sempre perfetta, ma è un mondo intero scritto nello stile di un Guerra e Pace, e un sentiero letterario inusuale per il fantasy. Condivide con autori come Erikson l’assoluto disinteresse nell’informare il lettore in anticipo sulle cose che accadono, e piazza la narrazione in continui in media res, per poi mandare la tranquillità a gambe all’aria senza pietà né preavviso. Ho tratto molto piacere dal leggere questa opera, che sicuramente ho trovato la più riuscita tra quelle che ho letto della Smith, un’autrice con più di quarant’anni di carriera alle spalle. In Italia è sconosciuta, nel mondo anglosassone ha iniziato a essere famosa (più di culto, direi) solo negli ultimi, pochi anni.

Personalmente definirei la quadrilogia di Inda un hit-or-miss. Non ha gli elementi per piacere a una vasta fetta di pubblico più avvezza a high fantasy, sword and sorcery e/o divorata dall’impazienza. Se qualcuno dicesse lo stesso di quello che ho avuto la pessima idea di scrivere io tra quarant’anni sarei felice. Chiaro: la Smith ha iniziato a scrivere da ragazzina, io dopo i trentacinque… tra qurant’anni sarò a guardare le margherite dalla parte sbagliata, e quindi non ne trarrei comunque un grande beneficio. Alla Smith, beh, le soddisfazioni sono arrivate, anche se ha dovuto attendere la fine del regno del grande scrittore di serie superstar, un’epoca che possiamo dire finita in quella stessa fossa a cielo aperto in cui ancora giacciono esanimi Winds of Winter e Doors of Stone — non morti, ma sognanti.

L'immagine delle copertine è presa dal blog di Patrick Rothfuss :D

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