Forse sarete preoccupati per l’attuale situazione del mondo. Il crollo delle borse, l’apocalittica crisi finanziaria, le banche in pericolo, il massiccio ritorno globale alla statalizzazione, la recessione, la depressione. Beh, vi dico le cose come stanno: è colpa mia.
Sì, lo so, è facile dire che è colpa mia, qualsiasi cosa accada è sempre colpa mia. Almeno questa è la ferma convinzione di tutte le donne che ho incontrato, da quella che mi ha dato metà del corredo genetico in poi. Ma questa non è una colpa “filosofica” qualunque, è una colpa materiale. Eh, materiale... Mi vien da ridere a dire proprio “materiale”. Chiamiamola col suo nome, piuttosto. E’ una colpa soprannaturale.
Beh, ho tergiversato abbastanza direi. Tanto vale vuotare il sacco e fare un po’ di sano outing, e raccontarvi come è andata.
Era una placida domenica d’ottobre, e stavo girellando con la mia moto nel paziente tentativo di finire il suo rodaggio. Purtroppo i conti in tasca non mi tornavano, e pensavo a tutto quello che la povertà mi faceva mancare (cose importantissime come l’equipaggiamento per la moto stessa, altri innumerevoli gadget elettronici, i soldi per farmi un bel viaggio, per fare il “tagliando” al Mac con un po’ di RAM in più... La lista potrebbe andare avanti all’infinito). Chiaramente una cosa conduce all’altra, e ho pensato anche al lavoro che oggi c’è e domani non si sa mai, all’università che non va nè avanti nè indietro, alla mia canizie incombente (?), all’amore che non arriva. A tutto ciò che nella mia vita funziona a mezzo regime o per nulla, insomma.
Ed è stato proprio in quel momento che ho notato un SUV devastato in un campo. Uno di quelli belli imponenti, sapete? Una Land Rover da decine e decine di migliaia di Euro, con i finestrini frantumati, le lamiere contorte, le gomme in brandelli letteralmente piantate nella carrozzeria. E che potevo fare? Ho rallentato, poi sono andato oltre.
Ma no, non potevo resistere alla curiosità... Di solito sono una di quelle persone che non si impiccia, lo dico con un po’ di vergogna: sarei un pessimo protagonista per un film dell’orrore. Ma come dicono i frenatori del nostro Tram di Opicina quando deragliano, “go avù el momento de mona”. Ho fatto inversione, sono tornato al campo e ho messo giù il cavalletto.
La Land Rover era un disastro. E vi risparmio tutta la serie dei ragionamenti alla X-Files: non ci voleva certo Sherlock Holmes per rendersi conto che era caduta dal cielo. Niente impronte di pneumatici nè erbaccia carsica schiacciata se non nella zona immediatamente circostante. Insomma, il terreno parlava di una caduta con un piccolo, massiccio rimbalzo, e i fluidi che colavano dal corpo devastato del fuoristrada sottolineavano che era cosa alquanto recente.
E poi, c’era questo piccolo oggetto laccato. Dai, è stupido chiamarla “lampada”. Quando l’ho vista lì tra l'erba giallastra non l’ho definita nella mia testa come una “lampada”. Nessuno di noi, da bambino, quando ha appoggiato gli occhi per la prima volta sull'illustrazione della Lampada di Aladino ha mai pensato ad associarla all’abat-jour del comodino o ad una plafoniera. L’ha piuttosto trasformata nell’idea platonica di Lampada di Aladino™, un oggetto funzionale alla fiaba fatto per contenere i geni. E così, quando ho visto tra l’erba quel contenitore bianco e viola, decorato di motivi floreali, l’ho subito riconosciuta per quello che era: una maledetta Lampada di Aladino.
A questo punto i protagonisti dei film dimostrano un alto grado di scetticismo, portandosi l’oggetto a casa e tenendolo accanto al letto o sul tavolo in soggiorno per un periodo comicamente lungo. Noi non abbiamo bisogno di prenderci in giro, vero? La direzione narrativa che imboccherà questa storia è ovvia. E gli esseri umani sono creature intensamente narrative, quindi possiamo saltar oltre, direttamente passare al punto in cui una densa cortina di fumo ha iniziato a fischiar fuori, proiettata dal beccuccio della lampada che era diventata improvvisamente calda come una tazza di caffè americano.
Eh, quanto vorrei potervi dire di essermi ritrovato davanti ad un culturista colorato, ad un grassone arabo, ad un disneyano uomo bestia dalle zanne di cinghiale!
No. No. Quelle sono le favole di hollywood, perchè quello che si conglomerava pian piano davanti ai miei occhi non aveva nè braccia nè gambe, ma aveva invece angoli e recessi, armonie e spire di frattali, fattezze intricate e agghiaccianti profondità. Aveva un peso nel mio cervello (non lo saprei definir meglio), ed era dotato di un inizio e di una fine, ma se aveva un volto era solo un riflesso del mio sulla sua superficie, che brillava complessa sotto alla luce del sole.
Chiaramente, se proprio doveva capitarmi un genio era piuttosto ovvio che il fato mi aveva riservato la sua fottuta variante Lovecraftiana.
“Io sono un genio fatto di fuoco senza fumo, costretto dal Sigillo di Re Salomone all’interno di una lampada.” declamò la cosa, con un tono cortese. “Sono nato libero, ma il grande re amava dare sfoggio del suo potere e ha creduto di potermi privare di tale caratteristica. Di fatto sono costretto ad ottemperare ad un tuo desiderio, ma te lo ritorcerò contro. E tu, tu che sei il frutto di una cultura borghese sai benissimo che non bisognerebbe mai affidarsi alla magia per arrivare da qualche parte nella vita. Quindi ti dico cosa dovrai fare: ora saggiamente lascerai andare la lampada, rinunciando al dubbio privilegio di forzarmi a farti del male, e te ne andrai per la tua strada.”
Ma figurarsi. Sapevo perfettamente che le cose sarebbero andate a finire male, ma il mio spirito masochista e autolesionista reclamava la sua dose di avventura. Il genio, rassegnato, aveva comunque dedotto dalla mia lunga pausa che il suo piano non aveva funzionato con me, come non aveva mai funzionato con la quasi totalità del genere umano.
“Come sempre accade tu non mi ascolterai. Credete sempre di non avere nulla da perdere, voi: in 3000 anni solo Alessandro figlio di Filippo ha accolto il mio ragionamento. Dimmi, uomo, cosa vuoi? Anche tu desideri una Land Rover?”.
No. Decisamente no.
Tutta la vita m’è passata davanti agli occhi. Il barbarico orgoglio che scalpita nel cuore di ogni uomo domandava un desiderio luminescente, geniale, furbo, che mi avrebbe completamente cambiato l’esistenza.
Che mi mancava?
Volevo avere i soldi. Volevo avere l’amore. Volevo il riconoscimento dei miei pari, volevo sapere che direzione prendere nella mia vita. Beh, voglio ancora tutte queste cose, ve l’assicuro. Ma ciascun desiderio espresso in tal senso mi avrebbe ammazzato, se fosse stato interpretato dall’incubo alcolico di Abdul Al-Azhred che avevo davanti. E la morte certamente sarebbe stata uno dei destini migliori, non ci vuole molto a capirlo.
Il barbarico orgoglio non mi serviva, dovevo davvero essere il figlio di un’età borghese, spietato e calcolatore come un Andreotti sotto processo.
Dovevo trovare un metodo per scagliare il desiderio lontano da me, per così dire. Per accollare le sue conseguenze sulle spalle di tutti, diffondendole così tanto da alleggerirne il carico.
E qui, il colpo di genio. Tutte le cose che mi mancavano si potevano risolvere con le mie stesse forze, andando a cercare me stesso: questo è quello che mi consigliava la mia cultura occidentale, con il mito iniziatico del viaggio. In un viaggio non avevo bisogno di gadget, nè di altri pesi. Il lavoro, in un lungo viaggio, non era più un fattore importante. In un viaggio si può trovare l’amore, la pace, e persino il proprio posto nella vita. Senza ricorrere alla magia, proprio come aveva a suo modo suggerito il genio.
Sì, lo so. Questa è pura ironia. Pur comprendendo l’esortazione di quella creatura, ovviamente l’ho ignorata. Per chi mi avete preso? Per l’uomo dei pistolotti morali?
Guardai la mia moto. Un viaggio! Tutto quello di cui avevo bisogno era di un piccolo aiuto per favorirmi, per rendere lo spostarsi da un posto all’altro un’impresa più facile. Una cosa, se vogliamo, per la quale tutti mi avrebbero ringraziato, se avessero mai saputo quel che avevo fatto.
“Caro genio, desidero che il costo del petrolio venga dimezzato”.
E quindi, ecco perchè il mondo gira come gira. Beh, pazienza. Almeno mi sono scaricato la coscienza e ho scritto tutto. Tanto non mi crederete, prenderete tutto questo per una semplice storia, come direbbe ogni pessimo scrittore. E se avete qualche sospetto, creduloni che non siete altro, facciamo che vi offro una birra la prossima volta che ci vediamo e siamo pari, ok?
Anche perchè non sono difficile da trovare. Vorrei potervi dire che sono partito, ma invece sono sempre qua.
Sì, lo so, è facile dire che è colpa mia, qualsiasi cosa accada è sempre colpa mia. Almeno questa è la ferma convinzione di tutte le donne che ho incontrato, da quella che mi ha dato metà del corredo genetico in poi. Ma questa non è una colpa “filosofica” qualunque, è una colpa materiale. Eh, materiale... Mi vien da ridere a dire proprio “materiale”. Chiamiamola col suo nome, piuttosto. E’ una colpa soprannaturale.
Beh, ho tergiversato abbastanza direi. Tanto vale vuotare il sacco e fare un po’ di sano outing, e raccontarvi come è andata.
Era una placida domenica d’ottobre, e stavo girellando con la mia moto nel paziente tentativo di finire il suo rodaggio. Purtroppo i conti in tasca non mi tornavano, e pensavo a tutto quello che la povertà mi faceva mancare (cose importantissime come l’equipaggiamento per la moto stessa, altri innumerevoli gadget elettronici, i soldi per farmi un bel viaggio, per fare il “tagliando” al Mac con un po’ di RAM in più... La lista potrebbe andare avanti all’infinito). Chiaramente una cosa conduce all’altra, e ho pensato anche al lavoro che oggi c’è e domani non si sa mai, all’università che non va nè avanti nè indietro, alla mia canizie incombente (?), all’amore che non arriva. A tutto ciò che nella mia vita funziona a mezzo regime o per nulla, insomma.
Ed è stato proprio in quel momento che ho notato un SUV devastato in un campo. Uno di quelli belli imponenti, sapete? Una Land Rover da decine e decine di migliaia di Euro, con i finestrini frantumati, le lamiere contorte, le gomme in brandelli letteralmente piantate nella carrozzeria. E che potevo fare? Ho rallentato, poi sono andato oltre.
Ma no, non potevo resistere alla curiosità... Di solito sono una di quelle persone che non si impiccia, lo dico con un po’ di vergogna: sarei un pessimo protagonista per un film dell’orrore. Ma come dicono i frenatori del nostro Tram di Opicina quando deragliano, “go avù el momento de mona”. Ho fatto inversione, sono tornato al campo e ho messo giù il cavalletto.
La Land Rover era un disastro. E vi risparmio tutta la serie dei ragionamenti alla X-Files: non ci voleva certo Sherlock Holmes per rendersi conto che era caduta dal cielo. Niente impronte di pneumatici nè erbaccia carsica schiacciata se non nella zona immediatamente circostante. Insomma, il terreno parlava di una caduta con un piccolo, massiccio rimbalzo, e i fluidi che colavano dal corpo devastato del fuoristrada sottolineavano che era cosa alquanto recente.
E poi, c’era questo piccolo oggetto laccato. Dai, è stupido chiamarla “lampada”. Quando l’ho vista lì tra l'erba giallastra non l’ho definita nella mia testa come una “lampada”. Nessuno di noi, da bambino, quando ha appoggiato gli occhi per la prima volta sull'illustrazione della Lampada di Aladino ha mai pensato ad associarla all’abat-jour del comodino o ad una plafoniera. L’ha piuttosto trasformata nell’idea platonica di Lampada di Aladino™, un oggetto funzionale alla fiaba fatto per contenere i geni. E così, quando ho visto tra l’erba quel contenitore bianco e viola, decorato di motivi floreali, l’ho subito riconosciuta per quello che era: una maledetta Lampada di Aladino.
A questo punto i protagonisti dei film dimostrano un alto grado di scetticismo, portandosi l’oggetto a casa e tenendolo accanto al letto o sul tavolo in soggiorno per un periodo comicamente lungo. Noi non abbiamo bisogno di prenderci in giro, vero? La direzione narrativa che imboccherà questa storia è ovvia. E gli esseri umani sono creature intensamente narrative, quindi possiamo saltar oltre, direttamente passare al punto in cui una densa cortina di fumo ha iniziato a fischiar fuori, proiettata dal beccuccio della lampada che era diventata improvvisamente calda come una tazza di caffè americano.
Eh, quanto vorrei potervi dire di essermi ritrovato davanti ad un culturista colorato, ad un grassone arabo, ad un disneyano uomo bestia dalle zanne di cinghiale!
No. No. Quelle sono le favole di hollywood, perchè quello che si conglomerava pian piano davanti ai miei occhi non aveva nè braccia nè gambe, ma aveva invece angoli e recessi, armonie e spire di frattali, fattezze intricate e agghiaccianti profondità. Aveva un peso nel mio cervello (non lo saprei definir meglio), ed era dotato di un inizio e di una fine, ma se aveva un volto era solo un riflesso del mio sulla sua superficie, che brillava complessa sotto alla luce del sole.
Chiaramente, se proprio doveva capitarmi un genio era piuttosto ovvio che il fato mi aveva riservato la sua fottuta variante Lovecraftiana.
“Io sono un genio fatto di fuoco senza fumo, costretto dal Sigillo di Re Salomone all’interno di una lampada.” declamò la cosa, con un tono cortese. “Sono nato libero, ma il grande re amava dare sfoggio del suo potere e ha creduto di potermi privare di tale caratteristica. Di fatto sono costretto ad ottemperare ad un tuo desiderio, ma te lo ritorcerò contro. E tu, tu che sei il frutto di una cultura borghese sai benissimo che non bisognerebbe mai affidarsi alla magia per arrivare da qualche parte nella vita. Quindi ti dico cosa dovrai fare: ora saggiamente lascerai andare la lampada, rinunciando al dubbio privilegio di forzarmi a farti del male, e te ne andrai per la tua strada.”
Ma figurarsi. Sapevo perfettamente che le cose sarebbero andate a finire male, ma il mio spirito masochista e autolesionista reclamava la sua dose di avventura. Il genio, rassegnato, aveva comunque dedotto dalla mia lunga pausa che il suo piano non aveva funzionato con me, come non aveva mai funzionato con la quasi totalità del genere umano.
“Come sempre accade tu non mi ascolterai. Credete sempre di non avere nulla da perdere, voi: in 3000 anni solo Alessandro figlio di Filippo ha accolto il mio ragionamento. Dimmi, uomo, cosa vuoi? Anche tu desideri una Land Rover?”.
No. Decisamente no.
Tutta la vita m’è passata davanti agli occhi. Il barbarico orgoglio che scalpita nel cuore di ogni uomo domandava un desiderio luminescente, geniale, furbo, che mi avrebbe completamente cambiato l’esistenza.
Che mi mancava?
Volevo avere i soldi. Volevo avere l’amore. Volevo il riconoscimento dei miei pari, volevo sapere che direzione prendere nella mia vita. Beh, voglio ancora tutte queste cose, ve l’assicuro. Ma ciascun desiderio espresso in tal senso mi avrebbe ammazzato, se fosse stato interpretato dall’incubo alcolico di Abdul Al-Azhred che avevo davanti. E la morte certamente sarebbe stata uno dei destini migliori, non ci vuole molto a capirlo.
Il barbarico orgoglio non mi serviva, dovevo davvero essere il figlio di un’età borghese, spietato e calcolatore come un Andreotti sotto processo.
Dovevo trovare un metodo per scagliare il desiderio lontano da me, per così dire. Per accollare le sue conseguenze sulle spalle di tutti, diffondendole così tanto da alleggerirne il carico.
E qui, il colpo di genio. Tutte le cose che mi mancavano si potevano risolvere con le mie stesse forze, andando a cercare me stesso: questo è quello che mi consigliava la mia cultura occidentale, con il mito iniziatico del viaggio. In un viaggio non avevo bisogno di gadget, nè di altri pesi. Il lavoro, in un lungo viaggio, non era più un fattore importante. In un viaggio si può trovare l’amore, la pace, e persino il proprio posto nella vita. Senza ricorrere alla magia, proprio come aveva a suo modo suggerito il genio.
Sì, lo so. Questa è pura ironia. Pur comprendendo l’esortazione di quella creatura, ovviamente l’ho ignorata. Per chi mi avete preso? Per l’uomo dei pistolotti morali?
Guardai la mia moto. Un viaggio! Tutto quello di cui avevo bisogno era di un piccolo aiuto per favorirmi, per rendere lo spostarsi da un posto all’altro un’impresa più facile. Una cosa, se vogliamo, per la quale tutti mi avrebbero ringraziato, se avessero mai saputo quel che avevo fatto.
“Caro genio, desidero che il costo del petrolio venga dimezzato”.
E quindi, ecco perchè il mondo gira come gira. Beh, pazienza. Almeno mi sono scaricato la coscienza e ho scritto tutto. Tanto non mi crederete, prenderete tutto questo per una semplice storia, come direbbe ogni pessimo scrittore. E se avete qualche sospetto, creduloni che non siete altro, facciamo che vi offro una birra la prossima volta che ci vediamo e siamo pari, ok?
Anche perchè non sono difficile da trovare. Vorrei potervi dire che sono partito, ma invece sono sempre qua.
Commenti
mi piace l'idea che hai avuto e come l'hai trascritta, bravo Franz! :D
(Piera)
Alexandra (avec Giorgio)
@alessandra: Wall•E è splendidissimo! I -30 un po' meno :D