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"The Fifth Season" di N.K. Jemisin, (recensione italiana/English review)

   Questo giudizio è problematico. Ho dovuto pensare a lungo sul voto di 5* che ho piazzato su GR per questo libro, oltre che su una maniera di spiegare le mie impressioni senza spoilerare. È una storia che va letta per essere apprezzata, visto che inizia in media res. È un libro difficile, è un libro duro, è un’arma emotiva non convenzionale. Non è allegro, usiamo un eufemismo. Inizia con la crudeltà, finisce con la crudeltà+. Ma questo non è Quentin Tarantino, non è gore, non è grimdark. È il tipo di storia da campo di concentramento, da pogrom, da purga stalinista, da Pol Pot, da nazisti in zone occupate, da eccessi del colonialismo più delirante. Ti coinvolge come la bruttura del genocidio armeno, della Peste Nera. Suppura delle ferite del razzismo stratificato e sclerotizzato e ampiamente dato per scontato da un’intera cultura secolare in declino. Ti parla con sincerità di una civiltà come la nostra, che non è più salvabile, pur essendo piena di brave persone, di ottime comunità, di felicità, di famiglie funzionali, di speranza. L’orrore e l’ingiustizia scorrono in profondità, sono così diffusi nei tessuti che la stessa legge dell’entropia ci dice che siamo fottuti. Non siamo riparabili.

Prologue - you are here
Let's start with the end of the world, why don't we? Get it over with and move on to more interesting things.
 E questa storia comincia - non è uno spoiler, è nelle prime due pagine - con la fine del mondo, una pulizia di una lavagna piena, sia simbolicamente che praticamente. Questo orrore sommo frattura e disintegra la calcificazione soffocante di male, odio e corruzione di migliaia di anni di schiavitù dalla schiena della protagonista. E lei non può neppure trarne sollievo perché il suo spirito è a brandelli. Ecco qui il punto di partenza di The Fifth Season.

L’azione è continua, sia quella intellettuale che fisica. Il trauma, la crudeltà, sono gli ostacoli posti di fronte a protagonisti e alleati, e sono formidabili. Tecnicamente parlando, i personaggi sono sviluppati bene, i colpi di scena sono orchestrati con grande competenza, e sono rare le volte che si spezza il nostro coinvolgimento, consentendoci di percepire i meccanismi della narrativa, tutti comprovati e ben oliati, ma non diversi dal solito. Questo è nascosto sotto alcuni ritrovati particolari, come linee temporali diverse e una buona parte del libro in seconda persona. N. K. Jemisin ha imparato a scrivere davvero bene da quel The Killing Moon che mi ha fatto storcere il naso, ma resta arida e gelida come l’Antartide. Tutti i personaggi sono lontani dall’essere adorabili, e sono minacciosi.

Non mi stupisco abbia vinto il premio Hugo. È torvo e pessimista come sa essere la grande letteratura di fantascienza. È quello che mi aspetto da un libro che travalica i confini di un genere, ed è quello che ha sempre colpito la platea di questo particolare premio. Ma è un fantasy? Beh…. SPOILER.

Per i credits dell'immagine di copertina cito la mia amica Francesca Resta: "Copertina di Orbit Books, suppongo realizzata internamente con art direction della meravigliosa Lauren Panepinto.
Illustrazione per Subterranean Press di Miranda Meeks"

English review
This review is problematic! I thought deeply about the vote and about the plot, but I really can't put down anything that is under 5* or say much about the tale without a spoiler. It is a hard book, a difficult book, an unconventional book. It's not merry, to say the least, and it begins with cruelty and climaxes with worse cruelty. It is the kind of story you would find normal far behind enemy lines during a pogrom. It is a tale that makes you think about Stalinist epurations and forced relocations. It's as compassionate as the witness report of mass executions during WWII Nazi military rule. It's just as relatable as the Armenian Genocide, or the Black Death, or the worst of Colonal excesses. It oozes like the wounds and trauma of stratified, widely-accepted racism. It speaks freely about a culture that is not really salvageable -- like our own is not, not even when it's chock-full of good individuals, happy communities, hope, families. The horror, the injustice just run too deep, they can not be addressed, they can not be repaired.

No wonder the book begins, and this can't be a spoiler, with a symbolic and really practical cleaning of the slate. The very real horror of the end of the world fractures the stratified evil and strips the weight of thousands of years of slavery from the shoulders of the main character. This is not soothing at all. She has shit to do, and she is in tatters.

The action, both intellectual and physical, is relentless. The looming trauma, the cruelty arrayed against the protagonist and allies are formidable hurdles to climb. The character arcs are quite well developed. The sudden revelations about the world and its people are nicely orchestrated. You seldom feel the presence of the nuts and bolts of the pretty standard structure of narrative, hidden as it is with a variable timeline riddled with flashbacks and the flashy bit of using second-person for most of the book. N.K. Jemisin just got a lot better as a writer, still she is cold and dry as an Antartic winter, and all characters feel less than adorable, and any and all are threatening.

It is not a wonder this book won a Hugo. It is just the kind of bleak story that has always been a staple in SFF literary circles. Is this fantasy? Well, no - this is--- No, I won't spoil. Read and weep.

Originally posted on Goodreads

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