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Pyre



Mi trovo a scrivere di Pyre come di un libro perché questo videogame ha sicuramente più del romanzo interattivo che della simulazione fantasy sportiva che - paradossalmente - fornisce il 100% dell’azione durante l’esperienza di gioco.

Alcune persone storceranno il naso a sentir parlare di sport, ma Pyre è evidentemente un gioco speciale. Supergiant Games ci ha abituato alle stranezze: i suoi altri due titoli, Bastion e Transistor, sono forse meno originali come gameplay ma altrettanto interessanti come storia e come scelta di metodo narrativo. Pyre sarebbe funestato tutto quello che potrei detestare: non mi hanno mai emozionato i giochi a squadre e storco il naso di fronte all’high fantasy, e sono i due poli attorno a cui la storia ruota. 

Pyre ti fa cambiare idea da subito sui tuoi preconcetti. Parte spiegando delle premesse minimaliste. Per il peccato di aver imparato a leggere, il protagonista (ovverosia il giocatore) viene bandito dal consesso Commonwealth, una società repressiva, ordinata e prossima al collasso che ha proibito l’alfabetizzazione. Gettato in un fiume astrale, il protagonista si trova naufrago nel Downside, un selvaggio mondo-prigione secondario da cui non vi è via d’uscita, in cui i criminali sono costretti a ricostruirsi una vita. Viene tratto in salvo dalle acque da tre misteriosi personaggi (un giovane uomo, un demonio femmina gigantesco e un cane senziente), che giungono a bordo di un carro meccanico. In loro compagnia il protagonista scoprirà di essere un Lettore con la “L” maiuscola, un saggio telepate in grado di leggere il Libro dei Riti e le stelle nel cielo. I suoi tre nuovi compagni sono infatti dei partecipanti ad un gioco sacro, non poi troppo differente da quelli celebrati da molte popolazioni antiche. Ciascuna delle squadre che si aggirano per il Downside è guidata dagli astri e incontrerà una delle altre in un luogo convenuto, e controllata dal proprio Lettore dovrà gettare una Sfera magica nella Pira avversaria, fino a spegnerla. Vincendo abbastanza partite, si può accedere al Rito del Monte Alodiel, e in caso di trionfo scegliere uno dei propri compagni da mandare a casa nel Commowealth, purificato e destinato a gloria e ricchezze. La vittoria nei Riti è l’unica maniera di abbandonare il Downside, e questo torneo è l’eredità dei fondatori del Commonwealth stesso, gli Otto Scribi.

Ma niente di quanto detto è esattamente quello che sembra, e le decisioni del giocatore influenzeranno completamente il viaggio, le partite e le storie personali degli “atleti” che comporranno la sua squadra.

Il grosso di Pyre, infatti, non è giocare le partite, almeno non per me, ma è vivere l’avventura del Lettore e influenzare positivamente o negativamente i tuoi personaggi o quelli degli altri team. Ciascuna delle persone che si incontrano hanno una storia pregressa, con varie soluzioni, e non esiste alcuna maniera per trionfare davvero contro Pyre. Ci sono delle scelte, e c’è il prezzo da pagare per esse. La causa di tornare a casa (una casa che il giocatore, al contrario del suo personaggio, non ha mai visto) diventa molto più straziante delle premesse iniziali, e molto più coinvolgente. Pyre non è un gioco al massacro. Non possiamo sbroccare e accoppare tutti. Nessuno muore direttamente per esito delle partite, è il Lettore non è Geralt di Witcher 3, ma scopre di essere il collante sociale del proprio gruppo, ed ha il potenziale di fare molti danni e di rovinare le vite dei propri compari e avversari.

La domanda diventa sempre più “meta” con l’avanzare della storyline: davvero vincere sempre è quello che volete? Potete farlo, certo, ma davvero, DAVVERO vincere è così importante? Cosa succede quando perdete? Non è che le complicazioni della sconfitta sono un prezzo molto più basso delle conseguenze della vittoria? Chi ha creato questo gioco sacro, e perché? Il fatto che possiate condizionare completamente la vostra esperienza di gioco con queste scelte e che non restino lettera morta, o roba che vi viene inflitta, non è affatto una considerazione secondaria per la risoluzione finale di Pyre.

L’ambientazione è varia, colorata ed estremamente originale. I personaggi sono rappresentati da ritratti, e sono molto particolari. Come dicevo Pyre è un high fantasy, ma non ricade nella rottura di coglioni abissale di fotocopiare le razze di Tolkien e D&D. Ci sono individui piuttosto strani, più o meno umanoidi, e con caratteristiche culturali specifiche da scoprire durante la giocata. L’atmosfera è a mille, e le musiche sono come da tradizione Supergiant: strepitose. Il doppiaggio è molto particolare. I personaggi parlano per lo più in una lingua fantasy senza senso, tutti tranne la Voce che commenta le partite (con un tono nasale, sarcastico e odioso che imparerete ad adorare).

Il gioco è risultato più lungo di quanto m’aspettassi, e le scelte fatte durante la partita mi lacerano tutt’ora. Ho perso molte interazioni con personaggi che avrei volentieri conosciuto meglio, ma ho dovuto fare delle scelte su chi spedire a casa e chi tenere con me. E non me la sento di giocare più: la storia è stata fatta, ed è il MIO Pyre, con il suo epilogo dolceamaro. Non videogioco più tanto, ma in questo caso ho fatto un’eccezione, perché Pyre prima di tutto è un buon libro fantasy, e mi sento più ricco per averlo letto.

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