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"The Blade Itself" by Joe Abercrombie (recensione italiana/English review)

Un libro sorprendente. Mi aspettavo crudeltà grimdark e costante sovversione delle premesse del genere fantastico e dei suoi luoghi comuni, ed è quello che ho ottenuto. Ciò che non m'aspettavo è un ritratto delicato, quasi umoristico della condizione umana, delle sue fragilità e debolezze, e una tale cura alla rappresentazione emotiva. Tutti i personaggi con il POV in questo libro sono visti da vicinissimo; e sono patetici. Il grosso barbaro è così stanco e groggy da essere diventato un vigliacco con la miccia corta, incapace di esprimere il proprio trauma. Il ragazzino militare ricco è intellettualmente ed emotivamente sottosviluppato, e non ha mai davvero vissuto un'esperienza reale perché è ancora un bambinone intrappolato nel solipsismo dell'adolescenza. L'inquisitore è una versione finita male del personaggio precedente, un tronco umano rancoroso che non è capace di smettere di andare avanti.

Tutti crescono, tutti falliscono nel tentativo. Sembrano cambiare, sì, ma è solo un avventurarsi al di fuori della propria zona confortevole e ritrarsi bruciati. E in tutto questo si agitano come crinoidi nel disperato tentativo di sopravvivere a una mega-trama epic fantasy di cui avrebbero davvero fatto a meno, completa di nega-Gandalf a torcergli il braccio per portarli all'avventura. Ed è una figata, un incubo divertentissimo che è meraviglioso per il lettore quanto miserevole per i protagonisti. Se siete in grado di sopportare la pessima gente, potrete apprezzare come si dimenano sul vetrino mentre Abercrombie li viviseziona. Ma sto ovviamente mentendo: farete il tifo per loro perché anche voi siete delle brutte persone.

Critica: il personaggio di Ferro Maljinn è a mio parere scritto goffamente, e non altrettanto coinvolgente rispetto agli altri. Se Abercrombie ha qualche tara, quella di non aver scritto un personaggio femminile bello come i suoi maschietti è certamente una di esse.

Immagine: la copertina della versione graphic novel adattata a due mani da Abercrombie e Chuck Dixon, inchiostro di Andie Tong e colori di Pete Pantazis.


This book was a bit of a surprise. I expected grimdark cruelty and near constant subversion of the genre tropes, and I got that. What I didn't expect was a delicate, humorous portrayal of human frailties and shortcomings, such an effective way to describe feelings. Everyone in this book is pathetic: the big barbarian is so tired and punch-drunk he's turned, in a way, in a coward completely unable to express it, a complex soul inside a battered psyche. The rich military kid is a complete retard that never really lived anything in his life because he's too oblivious to understand how disconnected from everybody he still is. The inquisitor is a spiteful wreck that can't really stop living. Everybody is growing, and everybody is failing at it. They seem to change, but it's just venturing beyond the comfort zone. Not a single one of them is really capable of doing anything else than flailing around trying to survive an epic fantasy plotline a ruthless, disgusting wizard is forcing on them, while trying to get back to an illusion of sense.

It's a nightmare, a funny nightmare that is great for the reader, wretched for the characters. If you can stomach ugly, mean people, you'll soon see them squirm for your amusement :D
But I lie: you'll root for them even when you really shouldn't.

Originally posted on Goodreads.

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