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"The Killing Moon", di N.K. Jemisin

Tre stelle su Goodreads è un voto considerato cattivo, ma non per me. Ho letto questo libro e l'ho letto con molto piacere, ed è un'opera elegante e ben studiata, piuttosto originale senza essere pretenziosa, e familiare invece dove abbiamo bisogno di punti di riferimento. È un libro che si lascia leggere e che si fa bene a leggere, certamente superiore a romanzi-morchia con protagonisti prescelti, fascinosi e dai difetti gratuitamente cool. I personaggi di Killing Moon sono tutti molto umani e molto fallibili, e lo sono in maniera credibile e ben descritta. Se è un libro perfetto? No. Il mio è un secco no.

Certamente il valore maggiore del romanzo risiede nel worldbuilding e nella bravura dell'autrice nel portare alla vita una civiltà e una realtà che non sono affatto "di moda" per la maggior parte degli scrittori fantasy. Intendiamoci, quasi nessuno vive più esclusivamente di cliché come Terry Brooks, ma qui abbiamo uno pseudo Egitto/Nubia, invece che un finto medioevo all'americana con boccali di birra attaccati alla cintura, pantaloni di pelle e farsetti elisabettiani. Non posso che esserne entusiasta. Gli umani possono combattere contro i mostri anche in un universo in cui non esiste la famiglia nucleare patriarcale, le ragazze anticonformiste con nomi celtici e la dieta a base di birra e stufato.

I personaggi sono ben studiati, approfonditi e sviluppati in maniera relativamente elegante, tranne, a mio modesto avviso, il personaggio femminile più rilevante. Il suo carattere, per qualche strana ragione, mi dà l'impressione di essere più sovente descritto piuttosto che visto all'opera, complice una eccezionale, eccessiva rilevanza degli eventi pregressi rispetto alla trama, che spesso vanno a mettere in ombra del tutto quello che i personaggi stanno facendo nell'arco di tempo descritto dal libro, invece di influenzarli e contestualizzarli.

L'antagonista principale è ben studiato, ma si prende pochissimo "screen time". Non è il Professor Male, tutti i "cattivi" del libro hanno motivazioni umane, come anche i "buoni", e l'interpretazione delle loro azioni avviene solo ed esclusivamente attraverso il metro di giudizio dei personaggi, della loro società e religione, che è un grosso punto positivo e non fa mai zoppicare i ragionamenti e le scelte compiute durante il romanzo.

I conflitti interiori e quelli tra i tre personaggi principali sono il motore del libro, e sono a tratti molti vividi, e a tratti penalizzati da una sorta di "distacco" emotivo: il prezzo del ruolo e dell'influenza della stratificazione sociale, sempre basata sulla società antica presa a modello, che è stato scelto dall'autrice. Purtroppo questo "distacco", invece di fornire una ragione per approfondire e sviluppare il conflitto, sembra a tratti attutirlo, aggirarlo, per semplificare lo svolgimento della trama. Siccome non si tratta di un libro lunghissimo, questa sorta di distacco viene comunque trattato, contestualizzato e risolto, ma l'impressione è che sia molto tardi, e troppo poco. Sono solo sfumature, tuttavia, non falle. Non ci troviamo per nulla nell'assurdità più totale dei personaggi di M. Night Shyamalan, per fare un confronto di carattere cinematografico, e che sembrano praticamente morti.

In effetti, mi perdoni la Jemisin, ma questo libro si presta molto a essere stuprato da un pessimo regista come il suddetto, dovesse mai essere trasposto. Dopo tutto è un romanzo d'avventura in cui persone realistiche e con una storia fanno cose action-hero. Questa è una cosa che mi piace molto, se devo essere sincero, anche se rende una storia molto vulnerabile a letture superficiali. :)

Il libro trotta mantenendo un buon passo, che non pare diventare mai travolgente, e si risolve mantenendo tutte le promesse, senza fare sconti e con poche scene "gratuite". Una sola scena non l'ho davvero apprezzata, ed è una falla sufficientemente brutta da meritare una menzione, e siccome è SPOILER, la segnalo come tale:

SPOILER * SPOILER * SPOILER * SPOILER * SPOILER *

Per un certo periodo i due protagonisti vengono imprigionati. La scena a questo viene descritta dalla voce dell'autrice più che dal punto di vista dei personaggi. Si mette addirittura a segnalare gli orari in maniera "metatestuale", tipo un diario. "Primo giorno, mattino", e "terzo giorno, pomeriggio" e via andare. Nulla di questo è un "errore" in senso assoluto, ma nel mio caso ha ucciso l'immedesimazione, specie perché è un caso del tutto isolato nel testo. È comunque abbastanza evidente che i vari punti di vista limitati, pur non essendo pochi, vadano comunque stretti alla Jemisin. Ma in particolare questa scena che doveva essere drammatica viene quasi degradata a un'esposizione asettica.

SPOILER * SPOILER * SPOILER * SPOILER * SPOILER *

Vi può piacere? Se vi interessa l'idea di uno sword and sorcery anticonformista che unisce la metafisica religiosa egiziana all'interpretazione dei simboli di Jung senza diventare mai pesante, anzi, inserendo per bene una buona dose d'azione, allora sì.

Sono contento di averlo potuto leggere, e sarò ancora più contento di leggere The Fifth Season della stessa autrice, che ha vinto quest'anno il premio Hugo. Sono molto curioso di vedere come N.K. Jemisin è andata maturando, e se ritroverò gli stessi problemi o scoprirò un'autrice differente a distanza di qualche annetto.

 Recensione pubblicata il 14 ottobre 2016 su Goodreads

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